Nel nostro intestino vive un enorme numero di batteri, che sono sempre più oggetto di studio. L’interazione con questi microorganismi si sta rivelando un importante fattore per determinare il nostro stato di salute.
Fin dai tempi della formulazione dei postulati di Koch – tra i primi a stabilire il legame tra microorganismi e malattie – gli abitanti dell’infinitamente piccolo sono stati visti solo come responsabili di patologie, infezioni a volte anche mortali. L’associazione dei microorganismi alle malattie ha portato allo sviluppo di mezzi per combatterli: antibiotici, antifungini e antivirali. Più recentemente abbiamo iniziato a comprendere il ruolo benefico di questi microorganismi. Questa conoscenza ha trovato nuove grandi opportunità grazie allo sviluppo delle moderne tecniche di sequenziamento del DNA che, oltre a sequenziare agevolmente il genoma umano, hanno consentito di sequenziare e conoscere i cosiddetti “batteri commensali” che risiedono nel nostro intestino.
La vera rivoluzione che stiamo oggi vivendo parte dalla scoperta che non è più necessario coltivare i microorganismi per conoscerli, ma possiamo identificarli grazie alla “firma” contenuta nel loro DNA (Fig. 1). Ognuno di noi porta con sé circa 2 kg di microorganismi (funghi, batteri e virus) che interagiscono con noi su prevalentemente su una superficie di 300 m2 di intestino, quasi la grandezza di un campo da tennis! L’insieme di tutti questi microorganismi si chiama microbiota. Il tratto gastrointestinale è il distretto che ospita il maggiore numero di microorganismi: ne sono stati stimati circa 100 trilioni (1014), quindi un numero 10 volte superiore rispetto alle cellule stesse del corpo umano (1013). Il microbiota contribuisce a una nuova dimensione della nostra idea di genoma umano: quantitativamente i geni del microbiota intestinale superano di circa 100 volte il numero di geni del corpo umano. Possiamo perciò affermare che noi non siamo solo il risultato dell’azione dei nostri geni, ma anche di quelli dei “nostri” microorganismi, per cui dobbiamo studiare non solo il nostro genoma, ma anche il nostro “metagenoma”, cioè l’insieme dei geni del nostro microbiota.
A ciascuno il suo microbiota
Nello specifico la popolazione batterica nel tratto gastrointestinale è costituita da più di 500 specie batteriche che si possono raccogliere in 4 principali Phyla: Firmicutes e Bacteroidetes, che rappresentano insieme quasi il 80-90%, mentre Proteobacteria e Actinobacteria rappresentano il 10-20%; sono poi presenti in minima parte gli Archaea metanogeni (principalmente Methanobrevibacter smithii), gli eucarioti (soprattutto i lieviti) e i virus (principalmente fagi).
L’intestino fetale umano è sterile e la colonizzazione inizia immediatamente dopo la nascita, influenzata dal trasferimento materno, dall’alimentazione, dagli stimoli ambientali e dall’eventuale uso di antibiotici. Durante il parto, e immediatamente dopo, i batteri che costituiscono il microbiota urogenitale e cutaneo materno e quelli provenienti dall’ambiente circostante colonizzano rapidamente il tratto gastrointestinale del neonato. La dimostrazione di questa trasmissione verticale dei microorganismi è data dalla significativa somiglianza tra il microbiota del neonato e quello della madre. Dopo questa prima fase il microbiota subisce una seconda trasformazione, influenzata principalmente dalle caratteristiche della dieta, fino a che, all’età di circa 4 anni, risulta sufficientemente stabilizzato nella sua composizione, assai simile a quella dell’adulto. La complessità di questi processi di interazione e la stocasticità delle popolazioni microbiche con cui l’individuo entra in contatto contribuiscono a rendere unico il microbiota di ogni singolo individuo adulto. Quest’unica e specifica comunità microbica è dotata di una struttura che si mantiene relativamente stabile nel tempo (Lozupone et al., 2012). A differenza del microbiota intestinale adulto, il microbiota neonatale risulta più variabile in composizione e meno stabile nel tempo. La composizione e lo sviluppo del microbiota intestinale del neonato dipendono da molti fattori, quali tipologia del parto, allattamento (al seno o artificiale), abitudini alimentari, reattività del sistema immunitario, eventuali trattamenti terapeutici, livello di igiene e background genetico, come evidenziato da studi condotti su gemelli monozigoti.

Figura 1. La metagenomica. Negli ultimi 10 anni l’immagine delle comunità microbiche è rapidamente passata dal bianco e nero a un’esplosione sorprendente di colori brillanti, grazie all’applicazione di tecnologie Next Generation Sequencing (NGS) per il sequenziamento di comunità microbiche complesse ovvero del metagenoma. La metagenomica è una branca della genomica che studia simultaneamente una comunità complessa di microorganismi, evitando la crescita su terreni selettivi. Infatti la crescita su terreni di coltura permette di identificare solo l’1-3% dei microorganismi realmente presenti in campioni naturali, perdendo il 97-99% dell’informazione a causa delle loro particolari condizioni di crescita, come nutrienti specifici e condizioni di anaerobiosi. Il superamento delle tecniche di microbiologia classica per identificare i microorganismi prevede l’uso del DNA genomico totale estratto da una matrice di varia natura e il sequenziamento del gene16S rRNA, una regione che costituisce la subunità minore 30S dei ribosomi dei procarioti utilizzato come marcatore filogenetico per la loro identificazione e classificazione. In questo modo è possibile studiare le comunità batteriche residenti in habitat differenti anche difficili da coltivare.
Un aiuto indispensabile
Il microbiota intestinale ha un ruolo fondamentale nel mantenimento dello stato di salute dell’organismo ospite, fornendo capacità metaboliche essenziali, quali la biodisponibilità di nutrienti, vitamine, energia, oltre a contribuire nei processi di detossificazione e nella resistenza alle malattie infettive. Il microbiota intestinale è inoltre capace di metabolizzare molecole biologicamente attive dagli alimenti, che altrimenti sarebbero scartate dal tratto intestinale, recuperando energia. Il microbiota intestinale è inoltre in grado di influenzare il bilancio energetico dell’ospite, come dimostrato da diversi studi su animali germ-free (in cui il microbiota è totalmente assente), che richiedono un 30% in più di energia nella normale dieta per mantenere il peso ideale . I batteri intestinali infatti traggono l’energia necessaria dal metabolismo degli zuccheri e delle proteine, attraverso il processo della fermentazione. La trasformazione di polisaccaridi non digeribili della dieta (cellulosa, emicellulosa, pectine, amido non digeribile) avviene ad opera di enzimi batterici che trasformano il materiale derivante dagli alimenti in sostanze volatili (anidride carbonica, idrogeno solforato) e acidi grassi a catena corta (SCFAs) come l’acido acetico, butirrico e propionico, derivati dalla fermentazione delle fibre che rappresentano la principale fonte di nutrimento della mucosa del colon.
La composizione del microbiota intestinale umano è estremamente variabile sia tra persone sane che tra individui magri e obesi, nonché molto sensibile alle variazioni della dieta di uno stesso individuo producendo importanti cambiamenti del metabolismo quali l’assorbimento, il deposito e il metabolismo dei lipidi alimentari, che sono strettamente regolati dal microbiota intestinale. La comprensione delle interazioni tra dieta e microbiota intestinale è un argomento di grande interesse nel mondo scientifico. Un recente studio (David et al., 2014) compiuto su dieci volontari che hanno accettato di seguire per 5 giorni una dieta strettamente vegetariana per poi passare ad una dieta strettamente carnivora nei 5 giorni successivi, ha dimostrato che quando avvengono cambiamenti repentini nella dieta, i nostri batteri intestinali reagiscono molto velocemente. In 24-48 ore infatti la composizione del microbiota cambia in modo significativo: durante la dieta vegetariana prevalgono specie batteriche capaci di digerire carboidrati complessi, mentre durante la dieta a base di proteine animali vengono selezionate specie batteriche, come Bilophila wadsworthia, capaci di metabolizzare le proteine e i composti tossici derivanti dalla combustione della carne, che però hanno un forte potenziale pro-infiammatorio. Quindi la composizione del microbiota intestinale negli animali e nell’uomo varia a seconda del tipo di dieta. Animali erbivori ed esseri umani vegetariani hanno una maggiore diversità microbica rispetto ai carnivori e agli onnivori (Ley et al. 2008) associata a una maggiore diversità enzimatica, che probabilmente risulta necessaria per la digestione dei diversi alimenti di origine vegetale (Fig. 2).

Figura 2. La simbiosi come motore dell’evoluzione. Durante l’evoluzione l’intestino si è modificato complicandosi e compartimentalizzandosi, anche grazie alla simbiosi fra microorganismi e organismo animale ospite. Si tratta di simbiosi mutualistica, la più diffusa in assoluto, che coinvolge i componenti di tutto il regno animal,e in cui si stabiliscono precise relazioni fisiche e biochimiche fra microorganismi e ospite che ne traggono beneficio reciproco, permettendo alle varie specie animali di esplorare diverse strategie nutrizionali.
In un nostro recente lavoro (De Filippo et al., 2010) è stata analizzata, mediante la tecnica di Next Generation Sequencing, la composizione del microbiota intestinale di bambini sani di età dagli uno ai sei anni che vivono in un villaggio rurale africano in Burkina Faso, le cui condizioni di vita sono molto simili a quelle dell’uomo del Neolitico (Fig. 3). La dieta di questi bambini è prevalentemente vegetariana, composta soprattutto da cereali quali miglio, sorgo, vegetali e legumi (Fig 4). I risultati sono stati quindi confrontati con quelli ottenuti da una popolazione di bambini della stessa età che vivono in Italia e che hanno una dieta tipicamente occidentale. I bambini del Burkina Faso presentano un microbiota con maggiore biodiversità, ricco di batteri che sono in grado di digerire la cellulosa e di restituire come prodotto finale composti benefici per il nostro intestino quali gli acidi grassi a catena corta (SCFAs) come il butirrato, un potente antinfiammatorio naturale. Inoltre, nonostante questi bambini vivano in condizioni igieniche precarie e siano soggetti a un tasso elevato di malattie infettive, presentano un ridotto numero di batteri potenzialmente patogeni quali E. Coli, Shigella, Salmonella che sono invece presenti come commensali nelle feci dei bambini italiani il cui microbiota è invece caratterizzato da specie batteriche appartenenti al phylum dei Firmicutes, tipicamente abbondanti nei soggetti obesi. Dallo studio emerge dunque il sottile equilibrio fra ecosistema microbico intestinale, dieta e salute dell’ospite, rivelando altresì l’origine delle malattie tipiche del mondo occidentale quali obesità, allergie, malattie infiammatorie croniche intestinali, problemi in notevole incremento nella società occidentale soprattutto in età pediatrica. L’industrializzazione e la standardizzazione dei prodotti alimentari selezionano nel nostro organismo un set sempre più ristretto di batteri associati agli alimenti. Storicamente, l’ecosistema microbico del tratto digestivo era specifico per una data area geografica, proprio come la flora e la fauna di un ecosistema sono geograficamente distinti: un esempio di questa diversità si riscontra in modo lampante ancora adesso tra le popolazioni rurali dei paesi in via di sviluppo e il mondo occidentale, dovuta all’evidente differenza dello stile di vita e dei fattori ambientali . L’omogeneizzazione della popolazione batterica infatti rappresenta un punto critico per la salute umana, date le importanti ed eterogenee funzioni svolte dai diversi microorganismi costituenti il nostro microbiota intestinale.

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Figura 3. Il villaggio di Boulpon, Burkina Faso. La dieta della popolazione rurale del Burkina Faso (etnia Mossi) è molto simile a quella del Neolitico, è infatti povera di grassi e proteine animali e ricca di fibre vegetali (polisaccaridi), con prevalenza di cereali (grano di miglio e sorgo) e legumi (fagiolo dall’occhio o Vigna unguiculata). Foto cortesemente concessa da Paolo Lionetti

Figura 4. Preparazione della farina di miglio. Il miglio che rappresenta la fonte primaria di fibre, è coltivato localmente e macinato in farina con l’ausilio di pietre su una base anch’essa in pietra. La farina di miglio viene utilizzata per la preparazione di un porridge chiamato Tȏ, che rappresenta il piatto principale, accompagnato da una salsa a base di verdure locali (Nerè), erbe e, raramente, carne in piccola quantità. L’uso di cereali ad alto contenuto di fibre ha selezionato un microbiota intestinale ricco di batteri in grado di digerire la cellulosa e di restituire come prodotto finale composti benefici per il nostro intestino quali gli acidi grassi a catena corta.
Foto cortesemente concessa da Paolo Lionetti.
Mangiare batteri
L’alimento che agisce da vettore e che trasporta la propria comunità microbica residente attraverso il tratto gastrointestinale fornisce il proprio contributo al microbiota intestinale, sotto forma di microorganismi passeggeri che interagiscono con l’ospite. La comunità microbica di batteri e funghi presenti negli alimenti fermentati artigianali ha un impatto sia diretto sulla salute umana, mediante modulazione della composizione del microbiota intestinale o interagendo con il sistema immunitario della mucosa intestinale; sia indiretto, attraverso modulazione del profilo dei nutrienti presenti nell’alimento in questione. Studi recenti hanno confermato che il consumo di probiotici – cioè microorganismi vivi come i fermenti lattici – può avere un impatto sulla funzione immunitaria umana e che i microorganismi ingeriti attraverso il cibo e i microorganismi ambientali possono dare un contributo significativo al microbiota intestinale umano. Microorganismi probiotici, in particolar modo i batteri lattici, quale il Bifidobacterium e Lactobacillus, sono in grado di cambiare il profilo di nutrienti degli alimenti che li veicolano, inclusi i livelli di vitamine, la concentrazione di acido folico, il contenuto di acidi organici e le concentrazioni di peptidi biologicamente attivi e di oligosaccaridi. Sorprendentemente è stato anche dimostrato che certi lattobacilli e bifidobatteri possono modulare il profilo dei grassi presenti nell’alimento vettore ed inoltre possono modificare il modo in cui i mammiferi immagazzinano ed utilizzano tali grassi.
La stretta interazione simbiotica funzionale fra l’intestino umano e la comunità batterica suggerisce quindi come il metabolismo dell’individuo umano sia il risultato di processi metabolici sia a carico dell’organismo stesso, sia a carico del nostro microbiota intestinale. Modulare il microbiota in modo da favorire la produzione di molecole benefiche e ridurre la produzione di quelle tossiche rappresenta oggi una possibilità terapeutica nuova.

Figura 5. L’uomo e l’interazione con le comunità microbiche ambientali. L’intestino umano è naturalmente colonizzato da una ricca varietà di microorganismi. Questo microbiota è costituito da microorganismi commensali ereditati in gran parte dalla madre alla nascita, rappresentati da specie con le quali siamo co-evoluti; da microorganismi passeggeri, ovvero microorganismi che provengono dal nostro ambiente circostante e con il quale veniamo ripetutamente in contatto tramite gli alimenti che mangiamo e il rapporto con l’ambiente esterno; e non ultimo da microrganismi patogeni, ovvero invasori esogeni che hanno il potenziale per superare il sistema immunitario e causare malattia.
Un cambio di paradigma
Questi concetti rappresentano un cambio di paradigma per la comprensione delle condizioni di salute e di malattia con un ruolo significativo in futuro per la prevenzione e per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici nelle malattie gastrointestinali.
Le più recenti frontiere della ricerca scientifica si concentrano oggi sullo studio del ruolo dei microorganismi residenti nel nostro apparato gastrointestinale, così come dei microorganismi ambientali che assumiamo attraverso la dieta nello sviluppo di una funzione immunitaria ottimale. Per capire appieno come mantenere l’equilibrio microorganismi-uomo, dobbiamo capire i diversi ruoli dei commensali, in larga misura ereditati alla nascita dalla madre, dei microorganismi passeggeri, principalmente di origine ambientale, con cui veniamo continuamente in contatto attraverso gli alimenti che ingeriamo (Fig. 5). Oggi sappiamo che il nostro sistema immune “impara” a discriminare i residenti e i passeggeri dai patogeni, ovvero invasori esogeni che tentano di evadere dalle difese dell’organismo, causando malattie. Proprio una corretta visione di questo equilibrio da parte del sistema immune consente di evitare le infezioni dei patogeni e “tollerare” o “mantenere” i microorganismi benefici. Ciascun componente del microbiota ha un proprio ruolo da giocare nel definire lo sviluppo della comunità microbica intestinale in equilibrio con il sistema immunitario dell’ospite. Sicuramente alterazioni della funzione “educativa” del sistema immunitario sembrano essere alla base di molte patologie infiammatorie croniche umane, chiaramente associate allo stile di vita tipicamente occidentale. L’elevata incidenza nei paesi occidentali di patologie croniche autoimmuni quali le malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn e colite ulcerosa), artrite reumatoide, sclerosi multipla, e metaboliche (diabete e obesità) che hanno in comune una risposta immunitaria inappropriata, suggeriscono come origine comune un aberrante addestramento del sistema immunitario forse anche associato a un uso incontrollato di antibiotici. Tali patologie, rare nel passato anche nel nostro paese, sono totalmente assenti nei paesi in via di sviluppo o in comunità che seguono ancora stili di vita tradizionali o addirittura ancestrali. Sulla base di molte evidenze Graham Rook, ha formulato l’ipotesi dell’igiene (Graham Rook, 2001), ossia che la mancata esposizione precoce di microorganismi “ancestrali”, co-evoluti con le nostre civiltà per migliaia di anni, causi una disarmonia del sistema immune umano, che riconosce come pericolosi i microorganismi benefici, fino ad attaccare addirittura se stesso. L’ipotesi dell’igiene è stata ampliata con l’evidenza che l’esposizione ai microrganismi commensali e ambientali nelle prime fasi della vita favorisce il corretto sviluppo della tolleranza immunitaria. E’ interessante sottolineare come la nostra dieta moderna, povera di nutrienti, ricca di energia e praticamente sterile, produca conseguenze sia sulla regolazione della risposta immunitaria guidata dai nutrienti, sia sull’addestramento immunitario ad opera dei microorganismi.
La stretta interazione simbiotica funzionale fra cellule intestinali e cellule batteriche suggerisce che l’individuo umano dovrebbe essere considerato come un “superorganismo”, la cui salute dipende dal mantenimento di un’armonia che stiamo solo oggi cominciando a capire. Solo comprendendo i meccanismi di questa interazione nella loro complessità, potremo capire come e dove li abbiamo interrotti. Solo questa conoscenza ci consentirà di mantenerci in salute, sfruttando appieno le opportunità che il progresso ci ha offerto, senza perdere le opportunità che i nostri microorganismi possono offrirci.
Bibliografia
- David LA et al. Diet rapidly and reproducibly alters the human gut microbiome. Nature. 2014; 505(7484):559-63.
- De Filippo C et al. Impact of diet in shaping gut microbiota revealed by a comparative study in children from Europe and rural Africa. Proc Natl Acad Sci U S A. 2010 Aug 17;107(33):14691-6.
- Ley RE et al. Evolution of mammals and their gut microbes. Science. 2008 Jun 20;320(5883):1647-51.
- Lozupone CA et al. Diversity, stability and resilience of the human gut microbiota. Nature. 2012; 489(7415):220-30.
- Rook GAW. The broader implications of the hygiene hypothesis. Immunology 2009; 126:3–11.
*Estratto da: De Filippo Carlotta. Microrganismi, cibo e ambiente. SAPERE 2016, anno 82°, n. 3 – 978-88-220-9419-3. ISSN 0036-4681
Carlotta De Filippo, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Pisa